Con provvedimento del 02.12.1010, il Garante per la protezione dei dati personali ha deliberato le “Linee guida in materia di trattamento di dati personali nella riproduzione di provvedimenti giurisdizionali per finalità di informazione giuridica”.
Tale delibera è stata pubblicata anche sulla Gazzetta Ufficiale n. 2/2011, del 04.01.2011.
Vediamo sinteticamente cosa dice detto provvedimento.
Scopo dichiarato delle linee guida “è di fornire orientamenti utili a uffici giudiziari, editori di riviste giuridiche specializzate e ogni altro soggetto, pubblico e privato, che svolge attività di riproduzione di sentenze e altri provvedimenti giurisdizionali, su supporti cartacei e informatici, nonché mediante reti di comunicazione elettronica, per finalità di informazione giuridica, al fine di garantire il rispetto dei princìpi in materia di protezione dei dati personali ai sensi del d. lg. 30 giugno 2003, n. 196” nonchè di “fornire agli interessati che hanno rivolto al Garante numerose segnalazioni, indicazioni in ordine ai diritti loro attribuiti e ai limiti e condizioni per il loro esercizio, come previsti in particolare dagli artt. 51 e 52 del Codice“.
Grande importanza rivestono le Linee guida del Garante, le quali concorrono a dare una definizione “ufficiale” di informatica giuridica che viene “intesa come attività di riproduzione e diffusione di sentenze o altri provvedimenti giurisdizionali in qualsiasi forma, per finalità di informazione giuridica, ovvero di documentazione, studio e ricerca in campo giuridico, su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, compresi i sistemi informativi e i siti istituzionali dell’Autorità giudiziaria (artt. 51 e 52 del Codice)“.
In tal modo, secondo il Garante, rimagono esclusi dall’ambito di applicazione delle linee guida i trattamenti effettuati presso gli uffici giudiziari di ogni ordine e grado, il Consiglio superiore della magistratura, gli altri organi di autogoverno e il Ministero della giustizia, “per ragioni di giustizia”, intendendosi per tali i trattamenti di dati personali direttamente correlati alla trattazione giudiziaria di affari e di controversie (art. 47, comma 2, del Codice).
Inoltre, le suddette linee guida “non incidono sulle norme processuali che l’autorità giudiziaria deve rispettare e applicare nello svolgimento delle attività e nell’adempimento degli obblighi derivanti dall’esplicazione delle funzioni giurisdizionali, come previsti dalle pertinenti disposizioni codicistiche” nè “riguardano, in particolare, l’attività di redazione degli originali delle sentenze e degli altri provvedimenti giurisdizionali e il loro contenuto (art. 52, comma 1, del Codice), né la loro pubblicazione mediante il deposito nelle cancellerie e segreterie giudiziarie, secondo le disposizioni che disciplinano tali attività (artt. 133 e ss. c.p.c.; artt. 125 e ss. c.p.p.)”; come pure “estano ferme anche le disposizioni processuali concernenti la visione e il rilascio di estratti e di copie di atti e documenti (art. 51, comma 1, del Codice)“.
Sono esclusi, infine, dall’ambito di applicazione delle linee guida i trattamenti effettuati nell’esercizio dell’attività giornalistica.
Altra importante affermazione del Garante è quella secondo la quale “la diffusione dei provvedimenti giurisdizionali costituisce fonte preziosa per lo studio e l’accrescimento della cultura giuridica e strumento indispensabile di controllo da parte dei cittadini dell’esercizio del potere giurisdizionale“, anche perchè “il Codice favorisce la più ampia diffusione delle sentenze e degli altri provvedimenti dell’Autorità giudiziaria per i quali sia stato assolto, mediante il deposito nella cancellerie e nelle segreterie giudiziarie, l’onere della pubblicazione previsto dalle disposizioni dei codici di procedura civile e penale“.
Conseguenza fondamentale di ciò è che “la conoscenza di tali provvedimenti può, infatti, essere realizzato, in primo luogo, dalla stessa Autorità giudiziaria “anche attraverso il sistema informativo e il sito istituzionale della medesima autorità nella rete Internet” (art. 51, comma 2), osservando alcune cautele previste dallo stesso Codice (art. 52, commi da 1 a 6), volte alla tutela dei diritti e della dignità degli interessati“.
Tale affermazione dovrebbe essere colta da tutte le Autorità Giudiziarie affinchè introducano o implementino il proprio servizio di diffusione della giurisprudenza relativa alla loro Curia.
Il paragrafo 3 della delibera disciplina la procedura di anonimizzazione dei provvedimenti giurisdizionali.
Lo si riporta pedissequamente, poichè molto chiaro e lineare oltre che completo ed esaustivo.
“L’art. 52 pone alcune cautele alla libera diffusione dei provvedimenti giurisdizionali.
In particolare, prevede una particolare procedura, descritta nei commi da 1 a 4, attraverso la quale ogni interessato può chiedere, con istanza depositata presso la cancelleria o segreteria dell’ufficio giudiziario avanti al quale si svolge il giudizio, che le sue generalità e ogni altro dato idoneo a identificarlo siano omessi in caso di riproduzione del provvedimento. I dati presi in considerazione dalla norma sono i dati identificativi, vale a dire, oltre alle generalità, ogni altro dato idoneo a identificare direttamente l’interessato (art. 4, comma 1, lett. c) del Codice).
3.1 La richiesta dell’interessato (art. 52, comma 1)
La richiesta può essere presentata da ogni interessato, ovvero dalla persona fisica, persona giuridica, ente o associazione cui si riferiscono i dati personali (art. 4, comma 1, lett. l) del Codice).
Sono quindi legittimati a inoltrare l’istanza non solo le parti di un giudizio civile, o l’imputato in un processo penale, ma anche qualsiasi altro soggetto – quale, ad esempio, un testimone o un consulente – reso identificabile nel provvedimento attraverso l’indicazione delle generalità o di altri dati identificativi.
Rimane fermo che l’eventuale omissione può riguardare solo l’interessato che ha proposto la relativa richiesta, e non altri soggetti.
La richiesta è sottoposta ad alcune condizioni e limiti.
In primo luogo, l’istanza deve essere rivolta all’ufficio giudiziario procedente, avanti al quale si svolge il giudizio, mediante il suo deposito nella cancelleria o segreteria giudiziaria. Va evidenziato che il deposito deve avvenire “prima che sia definito il relativo grado di giudizio”, vale dire a procedimento in corso. Un’istanza proposta dopo la definizione del giudizio (ad esempio, dopo l’emissione della sentenza) resterebbe priva di effetto.
La richiesta deve contenere l’esplicita istanza che la cancelleria o la segreteria riportino, sull’originale della sentenza o del provvedimento, un’annotazione che specifichi che in caso di riproduzione del provvedimento non può essere riportata l’indicazione delle generalità e di altri dati identificativi del richiedente.
Inoltre la richiesta deve essere espressamente motivata, poiché in essa l’interessato deve specificare i “motivi legittimi” che la giustificano, quali la delicatezza della vicenda oggetto del giudizio o la particolare natura dei dati contenuti nel provvedimento (ad esempio, dati sensibili).
Peraltro, l’omissione dei dati dell’interessato non può avvenire per qualsiasi utilizzo delle copie del provvedimento, ma solo ove questo venga riprodotto in qualsiasi forma (cartacea, informatica o su altro supporto):
– per esclusive finalità di informazione giuridica, come definita al punto 1.2 che precede;
– su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica.
La procedura prevista dall’art. 52 è quindi finalizzata a ottenere l’omissione dei dati solo in caso di riproduzione del provvedimento per l’indicata specifica finalità.
3.2 La decisione sulla richiesta (art. 52, comma 2)
La competenza a decidere sulla richiesta spetta all’Autorità giudiziaria presso cui pende il giudizio e che deve pronunciare la sentenza o adottare il provvedimento.
La decisione assume la forma di un decreto, riportato in calce all’istanza. La decisione può essere adottata in tempi anche molto brevi, poiché la norma prescrive che la decisione sia assunta “senza ulteriori formalità”.
In caso di rigetto della richiesta, ovviamente nessuna annotazione va apposta sull’originale del provvedimento.
3.3 Anonimizzazione disposta d’ufficio: in particolare, i dati sensibili
La disposizione di cui al comma 2 aggiunge che l’annotazione sull’originale della sentenza può essere disposta dal magistrato, per le medesime finalità di informazione giuridica, anche d’ufficio, cioè senza richiesta di parte.
La norma ora richiamata fa carico all’Autorità giudiziaria di una specifica responsabilità nell’attenta valutazione dell’opportunità dell’anonimizzazione dei provvedimenti.
Tale responsabilità è fortemente accentuata nei casi in cui vengono in rilievo dati personali dotati di particolare significatività che, se indiscriminatamente diffusi, possono determinare negative conseguenze sui vari aspetti della vita sociale e di relazione dell’interessato (ad esempio, in ambito familiare o lavorativo).
É questo sicuramente il caso in cui nel provvedimento siano contenuti dati sensibili (art. 4, comma 1, lett. d) del Codice), che sono oggetto nella normativa del Codice di particolari forme di tutela e, fra questi, dati idonei a rivelare lo stato di salute o la vita sessuale degli interessati.
Ciò, anche in considerazione delle limitazioni che, proprio in ambito giudiziario, vengono poste alla stessa difesa dei diritti in giudizio, laddove si richiede che il diritto dell’interessato alla riservatezza di tali dati possa essere sacrificato solo ove il diritto azionato sia “di rango pari” a quello dell’interessato medesimo, “ovvero consistente in un diritto o libertà fondamentale e inviolabile” (art. 26, comma 4, lett. c) del Codice).
Relativamente ai dati idonei a rivelare lo stato di salute (con riferimento ai quali sono giunte al Garante numerose segnalazioni degli interessati che ne hanno lamentato la diffusione e la conseguente agevole reperibilità anche attraverso i comuni motori di ricerca), anche altre disposizioni del Codice pongono, con carattere di generalità, uno specifico divieto di diffusione, valevole per i soggetti sia pubblici, sia privati (artt. 22, comma 8 e 26, comma 5 del Codice).
La salvaguardia dei diritti degli interessati attraverso un oscuramento delle loro generalità non pregiudica la finalità di informazione giuridica, sottesa alla diffusione del provvedimento, che il Codice intende salvaguardare, ma può risultare necessaria, nell’ottica di un corretto bilanciamento dei diversi interessi, rimesso alla responsabilità dell’Autorità giudiziaria procedente, per tutelare la sfera di riservatezza degli interessati.
Spetta quindi all’Autorità giudiziaria farsi carico, prima della definizione del procedimento, di valutare attentamente tale profilo, nella prospettiva di un’efficace tutela dei diritti e della dignità delle persone coinvolte nei procedimenti giudiziari.
3.4 L’attuazione della richiesta (art. 52, comma 3)
Come già rilevato, ove con il decreto la richiesta dell’interessato venga accolta, spetta alla cancelleria o alla segreteria giudiziaria darvi esecuzione, apponendo sull’originale del provvedimento, all’atto del deposito da parte del magistrato, anche con un timbro, un’annotazione che riporti l’indicazione dell’art. 52 del Codice e la dizione: “In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi di …”. L’indicazione dell’art. 52 ha lo scopo di escludere che il divieto possa essere esteso a ipotesi di diffusione diverse rispetto a quella della riproduzione del provvedimento per finalità di informazione giuridica
Oltre all’obbligo ora evidenziato, non emergono ulteriori incombenti a carico degli uffici giudiziari.
In particolare, non incombe sulle cancellerie e segreterie l’onere di cancellare materialmente i dati dell’interessato sulle copie dei provvedimenti rilasciate a chi ne abbia diritto e che riportino la menzionata annotazione.
Ciò, in primo luogo, in quanto il rilascio della copia costituisce attività di comunicazione (art. 4, comma 1, lett. l) del Codice(4)), e non di diffusione dei dati (lett. m), comma cit.(5)), per ciò stesso esclusa dal dettato dell’art. 52.
Inoltre, come già rilevato, le disposizioni in esame non incidono in alcun modo sugli adempimenti svolti dalle cancellerie e dalle segreterie giudiziarie che, in quanto connessi allo svolgimento dei processi, comportano trattamenti effettuati per ragioni di giustizia. Il rilascio di copie, attività direttamente disciplinata dalle norme codicistiche, rientra in tale ambito, come pure, ad esempio, l’invio della sentenza all’ufficio deputato alla sua registrazione.
Spetta a chi riceve la copia provvedere all’omissione dei dati ove intenda riprodurla e diffonderla per finalità di informazione giuridica.
3.5 Il divieto di diffusione dei provvedimenti (art. 52, comma 4)
I primi tre commi dell’art. 52 descrivono la procedura finalizzata all’apposizione dell’annotazione volta all’omissione dei dati.
In caso di accoglimento della richiesta, il comma 4 prescrive di omettere l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi dell’interessato in caso di diffusione, per le descritte finalità, dei provvedimenti giurisdizionali che rechino detta annotazione.
La prescrizione è rivolta in primo luogo all’Autorità giudiziaria, alla quale già il secondo comma dell’art. 51, nello stabilire il principio della libera accessibilità a chiunque dei provvedimenti giurisdizionali, anche attraverso il sistema informativo e il sito istituzionale nella rete Internet, impone l’osservanza delle cautele previste dall’art. 52.
La prescrizione è rivolta anche a tutti gli altri soggetti, terzi rispetto all’Autorità giudiziaria, che svolgono attività di diffusione dei provvedimenti per finalità di informazione giuridica.
Va sottolineato che la prescrizione si riferisce espressamente anche alla diffusione delle massime giuridiche estratte dai provvedimenti sull’originale dei quali sia apposta l’annotazione sull’omissione dei dati.
Ne consegue che anche in caso di riproduzione delle sole massime deve essere posta la dovuta attenzione, attraverso l’esame della copia dell’originale del provvedimento, che le stesse risultino prive delle generalità e di altre informazioni idonee a identificare gli interessati che abbiano ottenuto dall’Autorità giudiziaria di vedere omessi i dati che li riguardano“.
Al paragrafo 4, il Garante si sofferma sul divieto ex lege di diffusione (art. 52, comma 5), definendone le caratteristiche specifiche (divieto di diffusione dei dati dei minori e delle parti nei procedimenti giudiziari in materia di rapporti di famiglia e di stato delle persone).
In dette ipotesi non basta omettere solo le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti tutelati, ma anche gli “altri dati anche relativi a terzi dai quali può desumersi anche indirettamente l’identità” di tali soggetti.
Essa opera “in ogni caso”, cioè anche se la sentenza o l’altro provvedimento giudiziale oggetto di diffusione non riporti l’annotazione di cui al comma 2 dell’art. 52, trattandosi, peraltro, di un divieto assoluto: neppure il consenso dei soggetti interessati può determinare l’inapplicabilità dell’obbligo in esame.
Infine, il paragrafo 5 precisa che il comma 6 dell’art. 52 estende le altre disposizioni dell’articolo “anche in caso di deposito del lodo ai sensi dell’art. 825 del codice di procedura civile“.
Secondo quanto affermato dal Garante “si applica, quindi, anche a tale particolare pronuncia la procedura di anonimizzazione dei provvedimenti, con le regole poste riguardo alla presentazione della richiesta dall’interessato (comma 1), alla decisione degli arbitri, anche d’ufficio (comma 2), all’apposizione dell’annotazione (comma 3), e al divieto di diffusione (comma 4), oltre che, ovviamente, il divieto ex lege di cui al comma 5. Poiché il lodo può essere redatto “in uno o più originali” (art. 824 c.p.c.), l’annotazione, ove disposta, va ovviamente riportata su tutti gli originali“.
Al riguardo si osserva come si dovrebbero distinguere due ipotesi:
– una in cui la parte formula agli arbitri la richiesta del comma 1 prima della pronuncia del lodo e gli arbitri appongono sul lodo l’annotazione di cui al comma 3, anche ai sensi del comma 2;
– l’altra in cui il lodo venga depositato per la declaratoria di esecutorietà presso il competente Tribunale (art. 825 cpc), senza che vi sia stata la richiesta della parte o gli arbitri non abbiano provveduto.
Ebbene, nella seconda ipotesi suddetta, si ritiene che il Tribunale adito e che ha emesso il decreto di esecutorietà, possa provvedere sull’istanza.
Tale argomento trarrebbe sostegno dalla disciplina in tema di correzione del lodo una volta depositato (art. 826 u.c.): in tale ipotesi, infatti, la correzione è richiesta al Tribunale del luogo in cui il lodo è stato depositato.
Solo una considerazione finale, in modo da cercare di richiamare l’attenzione dei soggetti che provvedono all’anonimizzazione dei dati personali contenuti nei provvedimenti giurisdizionali, affinchè sappiano trovare la giusta tecnica che consenta la comprensione del testo, altrimenti gravemente compromessa da una semplice, quanto comoda e rapida, sbianchettatura dei nominativi delle parti.
In tal modo, infatti, si rischia seriamente di rendere difficoltosa la ricostruzione della vicenda oggetto del provvedimento.
Si suggerisce, pertanto, di impiegare opportunamente pseudonimi tradizionali (Tizio, Caio, Sempronio ecc.) piuttosto che lettere o altri segni distintivi (A, B, C ecc.).
Come pure, spesso capita di leggere sentenze in cui l’anonimizzazione è parziale, nel senso che vengono oscurati dati dell’intestazione, ma lasciati altri dati che consentono, in altre parti del testo, l’identificazione dei soggetti coinvolti.
Al seguente link, il testo integrale dal sito del Garante.
|