Con la sentenza n. 15586/09, le SS. UU. della Cassazione hanno affrontato il problema della natura del procedimento per la liquidazione del compenso agli arbitri (previsto dall’art. 814 cpc) nonchè la necessità, o meno, di un litisconsorzio necessario di tutti gli arbitri in caso di collegio arbitrale e delle parti.
Nel risolvere le questioni, anzitutto, le SS.UU. rilevano come gli arbitri siano parte d’un contratto (il cd. “contratto di arbitrato” la cui natura – se di mandato, o di locatio operis professionale, o misto attenendo il mandato alla composizione della vertenza e la locatio operis alla prestazione professionale necessaria onde conseguire tale risultato – viene volutamente sorvolata), con il quale le controparti attribuiscono loro, che l’accettano, l’incarico di risolvere una vertenza insorta tra le stesse.
La Corte, in maniera pragmatica, prosegue dando atto che quella arbitrale è una convenzione molto peculiare, in quanto, poichè è difficile prevedere in anticipo l’impegno (in termini d’attività personale e collegiale necessarie alla risoluzione della vertenza, nonchè degli eventuali accertamenti istruttori onerosi – si pensi ad esemprio ad una complessa CTU), le parti difficilmente riescono a stabilire e, normalmente, non stabiliscono, preventivamente all’atto della stipulazione, la determinazione quantitativa del compenso o i criteri per effettuarla, eventualmente anche tramite deferimento a terzo ex art. 1349 c.c., comma 1.
D’altronde, sarebbe anche improbabile che gli arbitri accettassero a priori un compenso necessariamente forfettario e, proprio perchè “imposto” dalle parti, quasi sicuramente inadeguato.
A cagione di ciò, esiste l’art. 814 cpc, che disciplina i diritti degli arbitri e che, in caso di mancata accettazione della autoliquidazione dei compensi operata dagli arbitri con il lodo, questi ultimi hanno la possibilità di rivolgersi al Presidente del Tribunale per la determinazione dell’ammontare delle spese e dell’onorario.
Secondo la Corte, l’art. 814 cpc, nel caso in cui non si prevede nulla nella convenzione ed in caso di mancata accettazione dell’autoliquidazione, opererebbe come inserzione automatica di clausole ex art. 1339 c.c.
Pertanto, “l’intera vicenda risulta all’evidenza esclusivamente regolata, sotto il profilo sostanziale, dal contratto di arbitrato, con il quale le parti dell’originaria controversia e gli arbitri dalle stesse designati a risolverla accettano, in una alla definizione arbitrale del contenzioso, che il contenuto dell’obbligazione solidale delle une (parti ndr) nei confronti degli altri (arbitri ndr) venga regolato amichevolmente o, se del caso, con l’intervento integrativo del presidente del tribunale indicato ex lege in alternativa all’arbitratore“.
Per quel che concerne il profilo del rito, poi, la Corte ritiene che esso rientri tra i procedimenti camerali non contenziosi, “la cui previsione evidenzia l’intento del legislatore d’evitare la giurisdizionalizzazione della questione“; ciò consentirebbe di “discostarsi dalle regole formali del processo con la ricerca d’un iter essenziale negli adempimenti e limitato nei tempi di svolgimento pur nel rispetto, garantito espressamente prevedendosene l’audizione, dell’aspettativa di ciascuna delle parti alla partecipazione ad esso onde farvi valere, anche mediante un’adeguata difesa tecnica, le proprie ragioni in ordine all’interesse posto in decisione; di tal che si è ritenuto rimessa al prudente apprezzamento di chi quella decisione è chiamato ad adottare l’individuazione dei mezzi delle modalità e dei termini per la convocazione delle parti che, in considerazione della natura sommaria del procedimento eppertanto delle particolari ragioni d’informalità e di speditezza nella trattazione cui dev’essere informato, risultino non di meno idonei ad assicurare al destinatario la possibilità d’organizzare tempestivamente una propria utile partecipazione“.
In definitiva, ha ritenuto il Supremo Collegio che si possa affermare la carenza del carattere giurisdizionale nella decisione adottata dal presidente del tribunale nel procedimento ex art. 814 c.p.c., e di escluderne la natura decisoria e l’attitudine al giudicato, da cui discenderebbe l’inesperibilità avverso la decisione presidenziale dei rimedi di giurisdizione contenziosa, anche extra ordinem quale il ricorso per cassazione previsto dall’art. 111 Cost. comma 7.
Per quanto riguarda la questione del litisconsorzio, la Corte afferma che “la norma in esame non prevede la costituzione d’un formale contraddittorio inteso in senso processualistico, ma solo la partecipazione “per essere sentiti” degli interessati, così tra costoro neppure sussiste litisconsorzio necessario attese la natura solidale dell’obbligazione a parte debitoris e la parziarietà ella stessa a parte creditoris: costituendosi, infatti, il rapporto di prestazione d’opera professionale non tra le parti litiganti ed il collegio arbitrale nel suo complesso, inesistente come soggetto dotato di personalità giuridica, bensì tra le stesse ed i singoli componenti del collegio, ciascuno degli arbitri, in quanto titolare d’autonomo diritto di credito per aver adempiuto, con l’espletamento dell’incarico, all’assunta obbligazione di rendere la prestazione richiestagli, è legittimato a perseguire in via giudiziale ed in ogni fase e grado di essa la realizzazione del diritto stesso, indipendentemente dalla congiunta proposizione o meno da parte degli altri componenti del collegio, d’altronde neppure più esistente come autonoma entità successivamente al deposito del lodo, d’analoghe domande e/o impugnazioni che, pur ove introdotte con un unico atto collettivo, rimangono non di meno espressione d’una pluralità d’azioni autonome e distinte promosse nei confronti degli stessi soggetti nel medesimo giudizio e, quindi, suscettibili d’essere separatamente coltivate“.
Per concludere, secondo il Supremo Collegio, il procedimento in questione sarebbe limitato esclusivamente alla determinazione dell’ammontare del credito, ossia solo sul quantum, dal momento che l’an sarebbe già implicito diritto degli arbitri, che sorge con l’accettazione dell’incarico.
Ciò potrebbe essere in astratto corretto, ma, in ragione della natura contrattuale del rapporto, cosa potrebbe accadere nel procedimento presidenziale ex art. 814 cpc, se le parti eccepissero, a vario titolo, la responsabilità degli arbitri o di alcuno tra essi?
Ossia, l’obbligazione degli arbitri di risolvere la controversia mediante l’emanazione del lodo, comporta anche che l’esatto adempimento consista nell’emissione di un lodo immune da vizi tali da renderlo nullo?
In base al decisum della Corte, le parti avrebbero poco da fare, in quanto “non sembra possano trovare adesione le obiezioni con le quali si prospetta una minorata difesa degli interessi delle parti, dal momento che, da un lato, il titolo di formazione stragiudiziale ex art. 814 c.p.c., comma 3 può essere utilmente contestato, con tutte le garanzie della giurisdizione, mediante le opposizioni all’esecuzione, mentre, dall’altro, la previsione normativa dell’agile strumento di liquidazione del quantum dovuto agli arbitri di cui si discute non osta a che le parti possano determinarsi a perseguire il medesimo risultato con un ordinario processo di cognizione“; ovviamente, fermo restando che, pur non essendo l’ordinanza un provvedimento giurisdizionale del quale si è, peraltro, esclusa la natura decisoria e l’attitudine al giudicato definitivo, lo stesso costituisce pur sempre un titolo esecutivo.
Di seguito il testo integrale:
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sette distinti ricorsi depositati tutti in data 25 settembre 2002, gli Avv.ti I.G. e R.S. hanno chiesto al presidente del Tribunale di Roma, ex art. 814 c.p.c., la determinazione del rimborso delle spese e degli onorari loro spettanti in qualità di arbitri (il secondo con funzioni di presidente del collegio arbitrale, composto altresì dall’avv. A. P.) in sette giudizi arbitrali, ciascuno avente ad oggetto l’accertamento dei crediti vantati da una società nei confronti di un’altra, ognuna facente capo ad un proprio gruppo e centro d’interesse (da un lato: ASE S.r.l., Cleser S.r.l., Edilfer s.r.l. e Coop. Tevere 85 S.r.l.; dall’altro: Snam Sud Lazio S.r.l., Linda S.r.l. e Bonadea S.r.l.).
L’adito presidente ha fissato per la trattazione dei suddetti ricorsi l’udienza del dì 8 novembre 2002.
In ciascun procedimento si è costituita la società rispettivamente interessata (segnatamente, le società Linda, Snam Sud Lazio e Bonadea) chiedendo che i sette ricorsi fossero riuniti in ragione dell’identità del lavoro svolto dagli arbitri e della materia oggetto dei lodi pronunciati.
Il presidente del tribunale non ha ritenuto di disporre la riunione dei procedimenti ed ha emesso sette distinte ordinanze, tutte in data 28 novembre 2 002, di liquidazione dei compensi e spese (comprensive di quelle per il segretario del Collegio arbitrale) in favore degli arbitri ricorrenti (complessivamente: avv. R. Euro 159.139,00;
avv. I. Euro 120.701,00; spese Euro 34.737,00), al cui pagamento ha condannato le parti di ciascun giudizio arbitrale in misura eguale, salvo il vincolo di solidarietà.
Per la cassazione di ciascuna delle sette ordinanze presidenziali è stato proposto, ai sensi dell’art. 111 Cost., ricorso da parte dell’interessata società costituitasi nel procedimento ex art. 814 c.p.c. ed, in particolare: dalla Snam Sud Lazio s.r.l. (giudizi iscritti al R.G. n. 29506/03 e n. 29510/03), dalla Bonadea s.r.l. (giudizi iscritti al R.G. n. 29508/03 e n. 29515/03) e dalla Linda s.r.l. (giudizi iscritti al R.G. n. 29507 /03, n. 29509/03 e n. 29516/03).
I ricorsi iscritti al R.G. nn. 29506, 29507, 29509, 29510 e 29516 del 2003, sono sorretti da identiche ragioni di doglianza, esposte con quattro distinti motivi nei quali si denunzia: a) la violazione o l’errata applicazione dell’art. 814 c.p.c., b) la violazione o l’errata applicazione del D.M. 5 ottobre 1994, n. 585 in riferimento all’individuazione dello scaglione di valore, c) la violazione o l’errata applicazione del D.M. 5 ottobre 1994, n. 585, art. 5 in riferimento alla quantificazione del compenso, d) la violazione di legge in riferimento all’assoluta carenza di motivazione sulla liquidazione delle spese, comprensive del compenso al segretario del collegio.
I ricorsi iscritti al R.G. nn. 29508 e 29515 del 2003, sono identici per i tre motivi b), c), d), mentre non vi viene dedotto il motivo sub a), relativo alla denunciata la violazione dell’art. 814 c.p.c..
In ciascuno di tali giudizi resistono con controricorso gli Avv.ti I.G. e R.S., proponendo altresì ricorso incidentale autonomo con il quale denunziano il mancato riconoscimento del diritto alle spese legali relative al procedimento di liquidazione dei compensi.
La Sezione semplice designata per la trattazione, con ordinanza 5.3.08, ha rimesso gli atti al Primo Presidente rilevando un contrasto giurisprudenziale sull’esperibilità del procedimento speciale ex art. 814 c.p.c., non congiuntamente da parte di tutti gli arbitri componenti il Collegio, bensì singolarmente da parte di alcuni soltanto di essi, questione risolta, secondo un indirizzo prevalente, in senso positivo (da Cass. 8.9.2004 n. 18061, 29.3.1999 n. 2972, 25.11.1993 n. 11664, salva eventualmente l’integrazione del contraddittorio come per Cass. 9.5.2003 n. 7062, 25.11.1993 n. 11664), ma, di recente, risolta, viceversa, in senso negativo (da Cass. 14.4.06 n. 8872).
La trattazione è stata, quindi, assegnata alle Sezioni Unite.
Tutte le parti hanno depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, i due ricorsi, proposti avverso la medesima sentenza e tra loro connessi, vanno riuniti ex art. 335 c.p.c..
Osta all’esame della questione sollevata dalla Sezione semplice rimettente l’esito della rivisitazione cui il Collegio ha ritenuto di dover sottoporre le soluzioni sino ad ora fornite dalla giurisprudenza di legittimità in ordine alla preliminare ed assorbente questione – peraltro rilevante per le sole controversie, quali le presenti, regolate ancora dalla normativa antecedente l’entrata in vigore della nuova disciplina introdotta con il D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 21 – dell’ammissibilità stessa, o meno, dei ricorsi, principale ed incidentale, proposti dalle parti, ex art. 111 Cost., avverso l’ordinanza adottata dal presidente del tribunale, ex art. 814 c.p.c., comma 2 in materia di determinazione del compenso degli arbitri.
Al riguardo si contrappongono, com’è noto, due diversi orientamenti, che si fondano su altrettante diverse considerazioni in ordine alla funzione da attribuire alla manifestazione di volontà espressa dal presidente del tribunale e, quindi, alla natura della determinazione adottata.
L’uno, o tesi contrattualistica, ravvisando in detta manifestazione di volontà un atto integrativo, ex art. 1349 c.c., della volontà negoziale delle parti del “contratto d’arbitrato”, esclude la ricorribilità ex art. 111 Cost., dacchè il presidente del tribunale opererebbe quale organo non di giurisdizione contenziosa bensì di giurisdizione non contenziosa, deputato ad integrare la volontà delle parti nella quantificazione dell’ammontare del compenso, non diversamente da quel che è previsto nell’art. 1349 c.c., comma 1, seconda ipotesi, con il deferimento al giudice per il caso in cui, rimessa la determinazione della prestazione dedotta in contratto ad un terzo (arbitratore), questi non vi provveda.
L’altro, o tesi processualistica, ravvisando in detta manifestazione di volontà un accertamento del diritto soggettivo di credito degli arbitri (o anche di un solo arbitro) in evidente situazione di conflitto di interessi, afferma la ricorribilità ex art. 111 Cost., come per qualsiasi altro provvedimento giurisdizionale decisorio e definitivo che sia espressamente dichiarato dalla legge non altrimenti impugnabile.
Al di là dei molteplici profili problematici indotti da ciascuna delle indicate contrapposte tesi, dei quali viene di seguito fatto cenno all’occorrenza, ha ritenuto il Collegio che debba attribuirsi carattere decisivo alla soluzione da darsi in ordine alla questione dell’individuazione della finalità e, quindi, della natura del procedimento ex art. 814 c.p.c., comma 2 indagando se esso abbia ad oggetto l’accertamento di un diritto soggettivo di credito oppure la sola “liquidazione” del suo ammontare.
Al qual riguardo, devesi, anzi tutto, rilevare come gli arbitri siano parte d’un contratto, il cd. “contratto di arbitrato”, con il quale le controparti attribuiscono loro, che l’accettano, l’incarico di risolvere una vertenza insorta tra le stesse.
Non interessa in questa sede prender posizione sulla vexata quaestio in ordine alla natura di tale contratto – se di mandato, o di locatio operis professionale, o misto attenendo il mandato alla composizione della vertenza e la locatio operis alla prestazione professionale necessaria onde conseguire tale risultato – dacchè ciascuna di tali figure comporta, a fronte dell’obbligazione assunta dagli arbitri di portare a compimento l’incarico ricevuto, quella dei conferenti di remunerare la relativa attività (artt. 1709 e 1720 c.c. per il mandato, 2233 per la locatio operis), d’altronde ribadita, mediante la contestuale previsione del vincolo di solidarietà passiva a carico dei conferenti, dall’art. 814 c.p.c., comma 1 prescindendo, appunto, da ogni indagine sulla natura del contratto; quel che qui interessa è la peculiarità della convenzione, nella quale frequentemente, attesa la difficile prevedibilità dell’impegno, in termini d’attività personale e collegiale necessarie alla risoluzione della vertenza, e degli eventuali accertamenti istruttori onerosi, le parti non possono stabilire e non stabiliscono, in via preventiva all’atto della stipulazione com’è altrimenti d’uso, non tanto l’oggetto dell’obbligazione dei conferenti, che sono la remunerazione dell’attività degli arbitri ed il rimborso delle spese dagli stessi sostenute, l’una e l’altro comunque incontestabilmente dovuti salva espressa rinunzia, ma piuttosto la loro determinazione quantitativa o i criteri per effettuarla, eventualmente anche tramite deferimento a terzo ex art. 1349 c.c., comma 1.
In vista della qual frequente evenienza, il legislatore – onde fornire agli arbitri, in ragione anche dell’interesse collettivo al tipo di prestazione, finalizzata alla soluzione stragiudiziale delle vertenze, che ne determina la peculiarità rispetto ad altre prestazioni professionali, un’agevole alternativa di sollecito accertamento del quantum debeatur a fronte dell’ordinario giudizio ex art. 2233 c.c., comma 1 altrimenti esperibile – ha previsto, nel primo periodo dell’art. 814 c.p.c., comma 2, che, “quando” lo ritengano, possano gli arbitri, una volta portato a compimento l’incarico, redigere un atto contenente le proprie pretese di rimborsi e compensi, rispettivamente per spese ed onorari, e, quindi, sottoporlo alle controparti; tale iniziativa risulta configurata dalla norma quale proposta che, lasciando i destinatari liberi d’accettarla o meno, non è per essi vincolante, onde, nell’ipotesi di mancata accettazione necessari contraenti, non sorte effetto alcuno.
Nel qual caso, il secondo periodo dello stesso comma prevede che “l’ammontare” delle spese e dell’onorario sia “determinato” dal presidente del tribunale, con ciò sostanzialmente predisponendo una clausola che automaticamente s’inserisce nel contratto d’arbitrato ex art. 1339 c.c., laddove non sianvi clausole intese a predeterminare nè ex ante ai sensi dell’art. 1346 c.c. l’entità del compenso, nè il soggetto cui rimetterne ex post la determinazione ai sensi dell’art. 1349 c.c., tale determinazione devolvendo al presidente del tribunale, così prescelto ex lege quale alternativa all’arbitratore secondo lo schema predisposto da quest’ultima norma.
Un’interpretazione, non solo letterale, ma anche sistematica, della riportata normativa regolatrice del procedimento in esame, evidenzia come lo stesso risulti, dunque, inteso all’accertamento non del diritto soggettivo al rimborso delle spese ed alla percezione degli onorari – già riconosciuto ex lege e, comunque, non contestato, l’ipotesi della contestazione della sussistenza stessa di tale diritto esulando dalla fattispecie in esame – bensì alla sola determinazione quantitativa, da parte del presidente del tribunale, dell’entità economica delle pretese fatte valere dagli arbitri che il procedimento abbiano introdotto.
Siffatta modalità di determinazione dell’entità economica della prestazione dovuta dai conferenti, poichè oggetto di clausola che automaticamente s’inserisce ex lege (art. 1339 c.c.) nel contratto d’arbitrato carente di disposizioni al riguardo, è implicitamente accettata da tutti i contraenti all’atto stesso della stipulazione del contratto ed, in ragione dell’effetto obbligatorio di esso (art. 1372 c.c.) in ordine non solo a quanto vi è espressamente pattuito ma anche a tutte le conseguenze derivantine secondo la legge (art. 1374 c.c.), l’esito del procedimento è vincolante per tutte le parti, così per ciascuno dei conferenti, così anche per i singoli arbitri, i quali, come hanno accettato che l’attività decisionale del collegio possa esitare in un lodo deliberato a maggioranza, parimenti hanno accettato che la determinazione dell’entità del compenso possa aver luogo mediante una proposta di parcella approvata a maggioranza e, questa non accettata dalle controparti, mediante l’intervento d’un organo in funzione di terzo, già preindicato dal legislatore nel presidente del tribunale, parimenti officiato dalla maggioranza dalla maggioranza del collegio ex art. 814 c.p.c..
L’attività di tale organo, come configurata dalla norma in esame e da quelle cui essa opera implicito rinvio, risulta, dunque, non di natura giurisdizionale contenziosa, bensì di natura essenzialmente privatistica, svolta nell’ambito d’un procedimento di giurisdizione non contenziosa, all’esito del quale è espressa, di conseguenza, una manifestazione di volontà priva della vocazione al giudicato.
Ciò, anzi tutto, in quanto con essa nè si incide su diritti soggettivi, nè viene risolto un conflitto tra le parti.
Sotto il primo profilo va, infatti, tenuto presente che oggetto della decisione rimessa al presidente del tribunale non è, come già evidenziato, l’accertamento del diritto degli arbitri a percepire il compenso e neppure di quello eventualmente eccepito dai conferenti a non corrisponderlo, bensì il mero interesse degli uni e degli altri, riconosciuto dall’ordinamento meritevole di considerazione eppertanto di regolamentazione, alla determinazione dell’entità pecuniaria di tale diritto, determinazione che il legislatore ha rimesso ad un terzo qualificato, non altrimenti di quanto avrebbero potuto fare le parti prevedendone l’intervento con l’inserire gia nel contratto una corrispondente clausola ex art. 1349 c.c..
Mentre va, sotto il secondo profilo, tenuto presente che la mancata accettazione da parte dei conferenti della proposta di liquidazione formulata dagli arbitri in ordine al quantum del loro diritto non solo non implica necessariamente un conflitto, versandosi ancora in fase di trattativa, ma altresì che tale fase può anche non essere neppure introdotta, analogamente a quanto si verifica ove le parti d’un contratto che abbiano ivi inserito la clausola ex art. 1349 c.c. – la volontà delle quali parti è, nel caso che ne occupa, sostituita, od integrata se vuolsi, da quella del legislatore – si rivolgano come prestabilito direttamente all’arbitratore; dal tenore letterale e logico della norma in esame non è, in vero, per alcun verso desumibile un carattere necessariamente pregiudiziale dello svolgimento d’una fase propositiva inter partes rispetto ad una successiva fase decisionale rimessa al presidente del tribunale, sì che questi, in coerenza con ratio semplificatrice ed acceleratoria attribuita al procedimento dal legislatore, ben può essere direttamente adito dagli arbitri con la sola istanza di determinazione e senza previo esperimento del tentativo d’accordo con le controparti.
Tant’è che, come è stato ripetutamente affermato nella giurisprudenza di questa Corte, il presidente del tribunale, nell’esercizio dei suoi poteri discrezionali – limitati soltanto dall’esigenza d’una logica applicazione dei criteri equitativi che presiedono alla liquidazione, salvo l’obbligatorio ricorso a specifiche tariffe professionali ove la natura dell’incarico o la condizione degli arbitri lo richieda e libero, comunque, anche in tal caso, d’autonome valutazioni laddove sussistano margini d’autonoma determinazione – non è affatto condizionato dall’eventuale predisposizione della parcella, già oggetto del tentativo d’accordo, i termini della quale possono nella decisione rimessagli trovare conferma ma anche variazioni in melius od in peius.
Emerge, dalle considerazioni che precedono, come l’intera vicenda risulti all’evidenza esclusivamente regolata, sotto il profilo sostanziale, dal contratto di arbitrato, con il quale le parti dell’originaria controversia e gli arbitri dalle stesse designati a risolverla accettano, in una alla definizione arbitrale del contenzioso, che il contenuto dell’obbligazione solidale delle une nei confronti degli altri venga regolato amichevolmente o, se del caso, con l’intervento integrativo del presidente del tribunale indicato ex lege in alternativa all’arbitratore.
Non diversamente, la stessa disciplina dell’arbitrato assegna al presidente del tribunale, agli artt. 809, 810 ed 811 c.p.c., lo svolgimento d’analoga opera d’integrazione contrattuale, prevedendone l’intervento laddove le parti non provvedano alla nomina dell’ulteriore arbitro ovvero alla sostituzione di tutti o alcuni degli arbitri nominati; nelle quali evenienze, infatti, del pari caratterizzate per avere ad oggetto un intervento non su di un diritto soggettivo ma su di un interesse delle parti all’esecuzione del contratto, il provvedimento presidenziale che tiene luogo della determinazione delle parti del giudizio arbitrale non riveste un carattere decisorio, ma ha, ancora, funzione sostitutiva d’un’attività negoziale manchevole delle parti stesse.
Esaminato, poi, sotto il profilo del rito, il procedimento regolato dall’art. 814 c.p.c. si caratterizza – al pari dei numerosi altri procedimenti camerali non contenziosi, la cui previsione evidenzia l’intento del legislatore d’evitare la giurisdizionalizzazione della questione – per discostarsi dalle regole formali del processo con la ricerca d’un iter essenziale negli adempimenti e limitato nei tempi di svolgimento pur nel rispetto, garantito espressamente prevedendosene l’audizione, dell’aspettativa di ciascuna delle parti alla partecipazione ad esso onde farvi valere, anche mediante un’adeguata difesa tecnica, le proprie ragioni in ordine all’interesse posto in decisione; di tal che si è ritenuto rimessa al prudente apprezzamento di chi quella decisione è chiamato ad adottare l’individuazione dei mezzi delle modalità e dei termini per la convocazione delle parti che, in considerazione della natura sommaria del procedimento eppertanto delle particolari ragioni d’informalità e di speditezza nella trattazione cui dev’essere informato, risultino non di meno idonei ad assicurare al destinatario la possibilità d’organizzare tempestivamente una propria utile partecipazione.
Per altro verso, come la norma in esame non prevede la costituzione d’un formale contraddittorio inteso in senso processualistico ma solo la partecipazione “per essere sentiti” degli interessati, così tra costoro neppure sussiste litisconsorzio necessario attese la natura solidale dell’obbligazione a parte debitoris e la parziarietà ella stessa a parte creditoris: costituendosi, infatti, il rapporto di prestazione d’opera professionale non tra le parti litiganti ed il collegio arbitrale nel suo complesso, inesistente come soggetto dotato di personalità giuridica, bensì tra le stesse ed i singoli componenti del collegio, ciascuno degli arbitri, in quanto titolare d’autonomo diritto di credito per aver adempiuto, con l’espletamento dell’incarico, all’assunta obbligazione di rendere la prestazione richiestagli, è legittimato a perseguire in via giudiziale ed in ogni fase e grado di essa la realizzazione del diritto stesso, indipendentemente dalla congiunta proposizione o meno da parte degli altri componenti del collegio, d’altronde neppure più esistente come autonoma entità successivamente al deposito del lodo, d’analoghe domande e/o impugnazioni che, pur ove introdotte con un unico atto collettivo, rimangono non di meno espressione d’una pluralità d’azioni autonome e distinte promosse nei confronti degli stessi soggetti nel medesimo giudizio e, quindi, suscettibili d’essere separatamente coltivate.
In definitiva, ha ritenuto il Collegio che entrambi i considerati profili inducano ad affermare la carenza di carattere giurisdizionale nella decisione adottata dal presidente del tribunale nel procedimento ex art. 814 c.p.c., quindi ad escluderne la natura decisoria e l’attitudine al giudicato, donde l’inesperibilità avverso la decisione stessa dei rimedi di giurisdizione contenziosa, anche extra ordinem quale il ricorso per cassazione previsto dall’art. 111 Cost.. comma 7.
In relazione alla qual disposizione la prescelta interpretazione della norma in esame non si pone in contrasto, considerato che il ricorso previstovi è costituzionalizzato nei soli limiti stabilitivi, id est in presenza di provvedimenti giurisdizionali decisori e definitivi, mentre, nella specie, si verte in tema di determinazione stragiudiziale integrativa della volontà contrattuale delle parti, ad opera del terzo arbitratore, dell’entità economica, non predeterminata contrattualmente, d’una prestazione contrattuale già resa; constatazione che preclude ogni dubbio di costituzionalità anche in relazione agli artt. 3 e 24 Cost..
Nè sembra possano trovare adesione le obiezioni con le quali si prospetta una minorata difesa degli interessi delle parti, dal momento che, da un lato, il titolo di formazione stragiudiziale ex art. 814 c.p.c., comma 3 può essere utilmente contestato, con tutte le garanzie della giurisdizione, mediante le opposizioni all’esecuzione, mentre, dall’altro, la previsione normativa dell’agile strumento di liquidazione del quantum dovuto agli arbitri di cui si discute non osta a che le parti possano determinarsi a perseguire il medesimo risultato con un ordinario processo di cognizione.
Ovviamente, le rilevate caratteristiche di non conflittualità e stragiudizialità del procedimento portano anche ad escludere l’ipotizzabilità stessa d’una posizione di soccombenza per alcuna delle parti e d’una connessa questione di liquidazione di spese processuali.
Le svolte considerazioni comportano l’inammissibilità così del ricorso principale come di quello incidentale, dovendo trovare applicazione il seguente principio di diritto: “Il contratto d’arbitrato che, salva rinunzia espressa da parte degli aventi diritto, non contenga la quantificazione del compenso e delle spese dovuti agli arbitri dai conferenti l’incarico, è automaticamente integrato, ex art. 814 c.p.c., con clausola devolutiva della pertinente determinazione al presidente del tribunale; questi, officiato in alternativa all’arbitratore, svolge funzione giurisdizionale non contenziosa, adottando un provvedimento di natura essenzialmente privatistica, privo, in quanto tale, di vocazione al giudicato e, quindi, insuscettibile d’impugnazione con ricorso straordinario per cassazione; siffatta natura del procedimento esclude l’ipotizzabilità d’una soccombenza ed osta, quindi, all’applicazione del relativo principio ed all’adozione delle consequenziali determinazioni in tema di spese”.
La novità della questione e l’esito del giudizio giustificano l’integrale compensazione delle spese.
P.Q.M.
LA CORTE riuniti i ricorsi, li dichiara inammissibili e compensa le spese.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio previa riconvocazione, il 3 marzo 2009.
Depositato in Cancelleria il 3 luglio 2009 |